Il dottor Mario Rampa illustra i progressi nella cura di una patologia che riguarda più di 50mila donne: dall’identificazione precoce dei casi a rischio alle nuove terapie mirate.
Il 13 ottobre ricorre la Giornata del Tumore al Seno Metastatico, un appuntamento che richiama l’attenzione su una malattia che oggi riguarda oltre 50 mila donne. L’obiettivo è rompere il silenzio. Ancora oggi pochi ne parlano, quasi come se si trattasse di un tabù. Eppure grazie alla ricerca, sono disponibili terapie che permettono il controllo dei sintomi, che fermano l’avanzare della malattia e che in certi casi addirittura la fanno regredire, con risultati inimmaginabili fino a qualche anno fa.
Controlli mirati per i casi a rischio
«Rispetto a un tempo, è anche possibile sapere quali donne con tumore al seno, dopo l’intervento, andranno seguite con controlli più ravvicinati e con terapie ad hoc», sottolinea Mario Rampa, U.O. Chirurgia della Mammella IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Direttore Medico LILT Milano.
«Diversi fattori influenzano il rischio che un carcinoma mammario si ripresenti o evolva in forma metastatica. La biologia del tumore è tra i più rilevanti: alcune varianti, come i carcinomi triplo negativi o certi HER2 positivi, mostrano infatti un comportamento più aggressivo. Anche lo stadio alla diagnosi è determinante: una neoplasia già localmente avanzata, con ampio interessamento linfonodale, presenta maggiori probabilità di diffusione a distanza». Le ossa rappresentano la sede metastatica più comune, soprattutto nei tumori luminali. Seguono il fegato e i polmoni, mentre le metastasi cerebrali risultano meno frequenti ma non rare, in particolare nei sottotipi HER2 positivo e triplo negativo.
Le terapie possibili
Oggi per il tumore al seno metastatico esiste una gamma molto ampia di terapie, da scegliere in base alle caratteristiche biologiche del tumore e alla storia clinica di ogni paziente. «L’obiettivo principale delle terapie è prolungare il controllo della malattia garantendo, al tempo stesso, la migliore qualità di vita possibile», aggiunge il dottor Rampa. «Questo significa che, finché il trattamento porta beneficio e la paziente lo tollera, si va avanti. Spesso il percorso prevede fasi diverse: periodi con farmaci orali, ad esempio, possono alternarsi a cicli di infusioni, terapie più impegnative a trattamenti più leggeri». È un cammino che non è mai uguale per tutte, ma che si costruisce passo dopo passo, adattandolo sia alle esigenze cliniche, sia alla vita quotidiana della persona.
«Abbiamo soluzioni anche quando intervengono le resistenze ai trattamenti», continua il dottor Rampa. «Questo vale persino per i tumori cosiddetti luminali, cioè con recettori ormonali positivi e HER2 negativi. Qui, ora possiamo, con l’utilizzo della biopsia liquida, identificare alcune delle resistenze, come specifiche mutazioni, e intervenire con farmaci ad hoc».
Il ruolo della chirurgia
Anche la chirurgia ha un suo spazio nel trattamento del tumore al seno metastatico. Si tratta di una decisione complessa, che va discussa da un team multidisciplinare, cioè composto da specialisti con diverse competenze, e che va valutata sulla base di informazioni quali le condizioni generali della paziente e l’evoluzione della malattia. «Quando le lesioni sono poche e ben circoscritte», sottolinea il dottor Rampa «è possibile, su organi quali fegato, polmoni o ossa, considerare la chirurgia oppure tecniche mirate come la radioterapia stereotassica. E persino alcune metastasi cerebrali selezionate possono essere trattate con approcci come la neurochirurgia o la radiochirurgia».
Giornalista scientifica dal 1992, specializzata in comunicazione della salute con particolare attenzione all'oncologia. Esperienza pluriennale in campagne informative e divulgazione scientifica. Vincitrice del premio Giovanni Maria Pace nel 2019 per il giornalismo in ambito oncologico.


