Alessandro Miani, presidente della Società italiana di medicina ambientale, spiega dove si accumulano nel corpo, chi è più a rischio e cosa possiamo fare.
Ha fatto riflettere il Lavoro scientifico pubblicato ad agosto scorso su TrAC Trends in Analytical Chemistry (Mapping micro(nano)plastics in various organ systems: Their emerging links to human diseases? – ScienceDirect). Attraverso l’analisi di numerosi studi, i ricercatori hanno messo a punto una vera e propria mappa che indica dove si accumulano microplastiche e nanoplastiche nell’organismo, chi rischia di più e quali potrebbero essere i disturbi più frequenti. Tra i più fragili, ci sono i bambini e chi ha una malattia oncologica. Certo, gli studi sono ancora in corso. Ma sta di fatto che non si può più nascondere la testa sotto la sabbia. È il momento di conoscere meglio microplastiche e nanoplastiche, dove si trovano e cosa si può fare per arginare i danni. Ce lo spiega Alessandro Miani, Presidente della Società italiana di medicina ambientale.
Professor Miani, innanzitutto, qual è la differenza tra microplastiche e nanoplastiche?
Le microplastiche sono frammenti di plastica con dimensioni inferiori a 5 millimetri, mentre le nanoplastiche sono ancora più piccole, con dimensioni inferiori a un micrometro (0,001 millimetri). Mantengono la composizione chimica della plastica originale e, a causa delle loro dimensioni, possono disperdersi facilmente nell’acqua, nell’aria, nel suolo e penetrare nei tessuti biologici.
Quali sono le principali fonti?
Sono principalmente due. Esistono le cosiddette microplastiche primarie che sono prodotte direttamente in dimensioni microscopiche per essere utilizzate in cosmetici, detergenti, abrasivi industriali o come microfibre sintetiche rilasciate dai tessuti durante il lavaggio come ad esempio dal poliestere, dal nylon e dall’ acrilico. L’altra fonte è quella delle microplastiche secondarie. Si formano dalla degradazione di oggetti plastici più grandi come bottiglie, imballaggi, reti da pesca, sacchetti, per effetto di sole, vento, pioggia, sale marino, oppure per azione meccanica. Un’importante fonte è anche l’abrasione degli pneumatici, che rilascia particelle sulle strade poi trasportate da vento e acque piovane.
Dove le troviamo oggi?
Le micro e nanoplastiche sono ormai presenti in tutti gli ecosistemi. Le troviamo nell’acqua marina e dolce, dalla superficie agli abissi, nei fiumi, nei laghi e perfino nei ghiacci artici. Sono anche in alimenti e bevande, specialmente pesce, crostacei, sale marino, miele, birra, acqua in bottiglia. E nell’aria, sia outdoor che indoor, dove si accumulano fibre tessili e particelle provenienti da traffico, usura di materiali e processi industriali. Infine, sono sul suolo, per dispersione di rifiuti, acque reflue e fanghi di depurazione usati in agricoltura. Sono state rilevate anche nel sangue umano, nella placenta, nei polmoni e nel latte materno.
Quali rischi comportano per la salute?
I potenziali rischi principali includono innanzitutto infiammazione e stress ossidativo, perché le particelle possono attraversare barriere biologiche e innescare micro-infiammazioni persistenti. Sono anche veicolazione di sostanze tossiche, poiché le plastiche possono assorbire inquinanti ambientali (es. pesticidi, metalli pesanti, PCB) e contengono additivi come ftalati e bisfenoli, noti interferenti endocrini. Sembrano anche interferire con il sistema immunitario e cardiovascolare, con presenza di microplastiche nei tessuti vascolari associata a processi infiammatori. Infine, hanno anche effetti su fertilità e sviluppo, osservati in studi sperimentali con alterazioni ormonali, riduzione della qualità spermatica e impatti sullo sviluppo embrionale.
Si può fare qualcosa?
Sì, attraverso comportamenti individuali e azioni collettive. Come ridurre l’uso di plastica monouso e invece preferire materiali riutilizzabili come vetro o metallo, utilizzare filtri per lavatrici per trattenere le microfibre sintetiche, leggere con attenzione le etichette per evitare cosmetici e detergenti che contengono microgranuli (polyethylene, polypropylene) e limitare il consumo di acqua in bottiglia quando possibile, preferendo contenitori riutilizzabili. Nell’ambito delle azioni collettive, sarebbe necessario sostenere leggi, tecnologie e aziende che riducono la produzione di plastica e sviluppano alternative realmente biodegradabili e migliorare sistemi di raccolta, riciclo e trattamento delle acque reflue.
Perché è urgente affrontare questo problema?
Perché le micro e nanoplastiche non sono più solo un problema ambientale: sono entrate nei nostri corpi, nel cibo e nei cicli naturali. L’esposizione è globale, quotidiana e coinvolge tutti. Affrontarle significa tutelare la salute umana, la biodiversità e la qualità della vita delle generazioni presenti e future.
Giornalista scientifica dal 1992, specializzata in comunicazione della salute con particolare attenzione all'oncologia. Esperienza pluriennale in campagne informative e divulgazione scientifica. Vincitrice del premio Giovanni Maria Pace nel 2019 per il giornalismo in ambito oncologico.


