Salute senza Frontiere: cosa dice la nuova indagine del progetto

6 min lettura News A cura di Redazione LILT Ultimo aggiornamento:
Salute senza Frontiere: cosa dice la nuova indagine del progetto

Il progetto che abbiamo avviato ormai sette anni fa si conferma efficace nella promozione della prevenzione oncologica tra le comunità straniere in Italia. I risultati sono particolarmente evidenti in tre comunità coinvolte per la prima volta. Fondamentali i nostri Ambasciatori della salute.

L’11 dicembre abbiamo presentato i risultati di una nuova ricerca, “Salute senza Frontiere: L’impatto delle attività di LILT per il benessere delle comunità straniere” presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano. A moderare la presentazione: Daniela Giangreco, responsabile prevenzione primaria LILT Milano e Serena Barello, professore associato di psicologia della salute all’Università di Pavia. Con noi anche la LILT di Firenze e di Campobasso.

Perché la ricerca

Abbiamo voluto misurare l’efficacia del nostro progetto che promuove la prevenzione oncologica tra le comunità di migranti in Italia, sottoponendo un questionario (che ha riguardato temi quali l’importanza della prevenzione, lo stile di vita, la cura di sé e le conoscenze sui tumori) a chi ha preso parte all’iniziativa (gruppo sperimentale) e a chi non ne era a conoscenza (gruppo di controllo).

I risultati sono stati analizzati da due esperti del Centro Studi MEDì- Migrazioni nel Mediterraneo: Maurizio Ambrosini, sociologo delle migrazioni all’Università di Milano, e Deborah Erminio, sociologa presso il Centro Studi Medì di Genova. Per valutare l’impatto dell’iniziativa, abbiamo coinvolto 470 migranti (in prevalenza donne) provenienti da Asia (47%), Europa (23%), Africa (17%) e America Latina (13%), suddivisi in un gruppo sperimentale di 253 persone partecipanti al progetto e un gruppo di controllo di 217 persone non coinvolte.

Chi sono le persone migranti

Gli immigrati che arrivano in Italia solitamente sono in buona salute, perché sono stati selezionati alla partenza. Difficilmente le famiglie investono per far partire persone malate o con abitudini nocive per la salute. In seguito però, a volte per il viaggio, ma più spesso per le condizioni di lavoro, abitazione, alimentazione, oltre che per la solitudine, il patrimonio di salute degli immigrati si deteriora. L’urgenza di aiutare le famiglie, lontane o ricongiunte, li porta a restare al lavoro, trascurando i sintomi. La ricerca mostra una buona consapevolezza della necessità della prevenzione, ma lo sviluppo di comportamenti più sani richiede di essere accompagnato e promosso. Per questo le attività di prevenzione, in collaborazione con le comunità straniere, possono ottenere risultati importanti – Maurizio Ambrosini.

Maurizio Ambrosini, sociologo delle migrazioni

Due persone su dieci non hanno un medico

Sull’intero campione, si è notato come due persone su dieci (17%) non abbiano un medico di famiglia e come le maggiori difficoltà riscontrate nell’accesso ai servizi sanitari riguardino i lunghi tempi di attesa (30% del campione), il poco tempo a disposizione e i costi elevati delle visite (entrambi riscontrati dal 20% degli intervistati). Inoltre, più del 10% dei partecipanti ha dichiarato di avere difficoltà linguistiche nella comprensione dei referti medici.

Al pronto soccorso quando si ha sospetto di un tumore

La maggior parte delle persone, anche chi ha un medico curante, incontra ostacoli quando si tratta di scegliere dove recarsi in caso di sospetto tumore. La prima scelta è quella di presentarsi al pronto soccorso, che tuttavia non è strutturato per gestire percorsi di diagnosi oncologica.

Perché il progetto è efficace

I risultati, presentati da Deborah Erminio, evidenziano la validità del progetto. Il gruppo sperimentale ha una maggiore consapevolezza su dove reperire informazioni accurate sui tumori, ma anche sugli esami da effettuare e su come ridurre il rischio di ammalarsi, conoscenze che non sono invece diffuse allo stesso modo nel gruppo di controllo.

Salute senza Frontiere fornisce la possibilità di avere non solo un diritto, quello alla salute, che è di fatto sulla carta, previsto dalla Costituzione, ma di poter accedere alle cure effettivamente. Questo aspetto lo rende vincente– Deborah Erminio

Deborah Erminio, sociologa

Nello specifico, la ricerca evidenzia come il gruppo che ha partecipato a “Salute senza Frontiere” abbia una maggiore conoscenza della prevenzione dei tumori e riconosca più facilmente i rischi legati ad alcuni alimenti. In particolare, il gruppo sperimentale identifica come maggiormente dannoso per la salute il consumo di carne rossa (per il 36,4%) rispetto al gruppo di controllo (22%).

Inoltre, le persone che hanno partecipato al progetto si recano maggiormente dal medico non solo quando sono malate, ma anche per controlli generali, e sono più consapevoli dei benefici di una diagnosi precoce (7 persone su dieci la pensano così contro 6 persone su dieci del gruppo di controllo). Ancora, gli individui che hanno partecipato alle nostre attività riconoscono maggiormente (il 38,4%) che la difficoltà economica non è un ostacolo all’accesso alle cure, contrariamente al gruppo di controllo, che ritiene in percentuale più alta (46,4%) come la mancanza di soldi impedisca di curarsi.

Per chi è più utile

Il progetto è particolarmente efficace per coloro che vivono in condizioni più vulnerabili: migranti senza permesso di soggiorno, richiedenti asilo, persone con permessi di soggiorno temporanei, disoccupati, precari, e chi vive in situazioni difficili dal punto di vista abitativo o relazionale. Per queste persone, che partono da una base di conoscenze pari a zero, il progetto si dimostra particolarmente utile.

Un ulteriore dato positivo riguarda tre comunità coinvolte per la prima volta: quelle provenienti da Sri Lanka, Senegal e Ucraina. Rispetto agli altri gruppi, che partecipano da anni a “Salute senza Frontiere”, queste tre comunità hanno registrato un impatto derivante dal progetto ancora maggiore, probabilmente perché non esisteva una base di conoscenze precedentemente condivisa tramite il passaparola, come si ipotizza possa essere avvenuto tra le comunità coinvolte da tempo nel progetto.

L’importanza degli Ambasciatori della salute

Tutti i partecipanti della ricerca ritengono utile avere una figura che faccia da ponte tra la comunità di appartenenza e il medico. Nel caso del gruppo sperimentale, tale figura è rappresentata dall’Ambasciatore della salute di LILT, una persona formata in maniera continuativa dall’associazione, che conosce la lingua italiana e quindi è ben inserita nella società e che è in grado di aiutare la propria comunità nella comprensione del contesto sanitario di riferimento.

Grazie agli Ambasciatori della salute (al momento sono 20, in prevalenza donne e dieci formate in questa edizione) che rappresentano tali comunità: senegalese, ucraina, sri lankese e filippina, vogliamo superare le barriere linguistiche e culturali che spesso impediscono l’accesso ai servizi sanitari in Italia, facilitando l’inclusione e il miglioramento dell’accesso alle cure.

Sono ambasciatrice da quest’anno. Ho conosciuto LILT grazie al tempio buddista che frequento. Il ruolo che rivesto è vitale perché fungo da ponte tra la mia comunità e il sistema sanitario. Penso che per coinvolgere maggiormente le persone dello Sri Lanka si possa puntare sempre più ai loro leader: sacerdoti e monaci che fanno parte delle generazioni anziane e quindi sono delle guide in cui la comunità ripone fiducia – Manawi Poorna Silva Nacayanandi, Ambasciatrice della salute di LILT Milano

In cosa consiste il progetto

Avviato nel 2017 da LILT Milano Monza Brianza, “Salute senza Frontiere” è un percorso che promuove la prevenzione e la salute tra le comunità straniere, in particolare tra quelle che riscontrano difficoltà nell’accesso alle cure sanitarie in Italia o che vivono in condizioni di vulnerabilità sociale ed economica. Il progetto si realizza tramite incontri formativi e laboratori svolti in contesti di riferimento culturale e religioso, come centri islamici, chiese, associazioni culturali, scuole di lingua italiana per stranieri, templi buddisti, chiese ortodosse e associazioni di migranti. Le metodologie utilizzate sono particolarmente attente alle caratteristiche culturali, linguistiche e sociali delle diverse comunità. Grazie ai risultati ottenuti nel corso degli anni, il progetto è stato adottato da altre 12 LILT a livello nazionale.

Ora ci piacerebbe fare quello che abbiamo sempre fatto ma concentrandoci anche sugli operatori, sulla loro formazione. Salute senza Frontiere prosegue – Daniela Giangreco, responsabile prevenzione primaria LILT Milano

Daniela Giangreco, responsabile settore prevenzione primaria LILT Milano

Il progetto è stato parzialmente finanziato dal Community Award Program 2023 di Gilead.

Redazione LILT