Il carcere, tra maternità e diritto alla salute

Il carcere, tra maternità e diritto alla salute

L’11 marzo, per la prima volta nella storia dell’Associazione, abbiamo messo piede in un carcere. Anche se l’ICAM, proprio un carcere, non è. L’Istituto a Custodia Attenuata per detenute Madri di Milano è una struttura penitenziaria nata nel 2006 con l’obiettivo di permettere alle donne che hanno subìto una condanna di scontare la pena accanto ai loro figli. É un luogo in cui la maternità, nonostante le limitazioni alla libertà, può continuare a vivere.

Una collaborazione nata quasi per caso, quella tra LILT Milano Monza Brianza e ICAM. Chiara Siniscalco, educatrice professionale dell’ASST Santi Paolo e Carlo presso l’Istituto, è venuta a conoscenza delle iniziative LILT rivolte alle fragilità tramite una collega di settore. Da lì il passo per contattarci e attivare una convenzione è stato breve. “In un contesto come questo – ci ha raccontato – è fondamentale avere aiuti dall’esterno e valorizzare gli interventi di professionisti sui temi di salute raccontando, ad esempio, quali strategie adottare per far consumare ai bambini pasti sani ed equilibrati”.

Sana alimentazione e prevenzione alla base del progetto

Tre gli incontri proposti: due sulla sana alimentazione e uno dedicato alla prevenzione dei tumori femminili, tematiche particolarmente rilevanti in un contesto complesso quale il carcere. Come ha opportunamente sottolineato Marianna Grimaldi, coordinatrice ICAM, “per queste donne il cibo ha la funzione di sostegno e difficilmente riescono a comprendere il valore del mangiar sano. Inoltre, gli istituti di pena scatenano spesso una serie di complicate relazioni con il cibo e con la cura di sé. Il senso di colpa nei confronti di quanto sta accadendo può alimentare nelle donne la necessità di soddisfare i desideri dei bambini. Capita che molto di esse, quando arrivano in Istituto, perdano o acquistino peso in maniera sensibile.”

Grembiuli e bavaglie di mamme e bambini appesi all’ingresso del locale cucina

Fondamentale allora promuovere degli interventi che fossero in grado di evidenziare i capisaldi di una corretta alimentazione, coinvolgendo attivamente mamma e bambino e rispettando la loro identità culinaria. Elemento centrale negli incontri il forte risvolto pratico. Dopo aver passato in rassegna le proprie abitudini alimentari, le partecipanti, con l’aiuto della nutrizionista, hanno creato una tabella sull’organizzazione quotidiana dei pasti. E i cambiamenti non hanno stentato ad arrivare: primo fra tutti una maggiore attenzione al consumo di Coca-Cola.

Ripartire dall’abc della salute

La necessità da cui trae origine l’intero progetto, è stata promuovere la salute partendo dall’abc. In sedici anni di attività, la struttura ha ospitato infatti più di 350 madri, di cui solo una piccola percentuale di origine italiana. Le limitate possibilità di accesso alle cure hanno accompagnato queste donne per buona parte della loro vita. “Accogliamo prevalentemente madri che non hanno un quadro completo di quella che è la tutela della propria salute e del proprio bambino.” Ci ha riferito durante un incontro la coordinatrice. Non è loro chiaro il concetto di che cosa voglia dire, ad esempio, prevenzione e cura.”

Scarsa conoscenza dei programmi di cura, da un lato, e difficile rapporto con l’istituzione, dall’altro, rendono difficile promuovere la salute nel contesto penitenziario. Spesso conflittuale o ambivalente, il rapporto con la giustizia è infatti uno dei muri da abbattere prima di poter instaurare un rapporto proficuo con le detenute. A questo si aggiunge la distanza culturale che talvolta separa le madri dagli operatori. Depositarie di culture e identità altre, queste donne possiedono spesso una visione peculiare dei concetti di sana alimentazione, salute e cura di sé. “Su qualunque cosa” ha continuato Grimaldi, “hanno risposte e soluzioni che non rispondono ai nostri criteri. Prima di accettare un nostro farmaco, prima di accettare un consiglio, bisogna abbattere il muro che ci separa. Poi diventa tutto più facile.”

Per tale ragione sono stati proposti interventi su misura delle destinatarie. Come ricorda Lorenzo Grimaldi, coordinatore dei tre incontri svolti nell’ICAM “LILT, tra le sue molteplici attività, si occupa della sensibilizzazione delle comunità straniere e delle fasce più fragili della popolazione. Lavora quindi con l’obiettivo di superare qualsiasi barriera: linguistica, culturale e, in questo caso, anche fisica.”

Oltre le apparenze

L’ICAM sorge nel cuore di Milano, tra edifici residenziali e giardini curati. Entrando si rischia di cadere nell’illusione che questo luogo non sia un istituto cautelare. Le pareti sono tinteggiate con colori vivaci e ospitano i disegni e le foto di chi, negli anni, ha scontato qui la propria pena. Non ci sono celle ma porte con oblò, non ci sono forze dell’ordine in divisa ma agenti in borghese. E passeggiando tra le stanze è facile imbattersi in passeggini, giocattoli, libri e pupazzi. Nonostante le apparenze, l’ICAM resta una struttura detentiva.

A essere ospitate, al momento degli incontri, due donne con i loro bambini. Madri giovani, dall’aria curata e l’atteggiamento riservato. Una racconta come trascorre il suo tempo in Istituto e cosa ha appreso dagli incontri con gli specialisti LILT.


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