Giuseppe Sala

Giuseppe Sala

Il tema tumori merita tanta attenzione da parte di tutti noi, di chi fa politica, di chi dà una mano a chi fa politica, dalla città e dai cittadini.

Ovviamente siamo preoccupati, ma dobbiamo agire perché l’effetto di questa pandemia dopo due anni si sta rivelando appieno nelle sue conseguenze, prima di tutto dal punto di vista della salute. E poi abbiamo parlato delle conseguenze economiche e adesso stiamo affrontando le conseguenze sociali, tanto disagio, tanta tensione.

I tumori sono al centro della nostra vita, delle nostre esistenze personali e delle nostre famiglie. Ci sono tanti problemi, ma il singolo che ha un problema lo sente come il problema. Così è tutto quello che si riferisce alla nostra salute.

Questa è una battaglia che non si può che fare collettivamente, una battaglia in cui alla fine le nostre risorse economiche pesano moltissimo rispetto alla possibilità di guarire, di fare una buona vita dopo, rispetto alla propria dimensione sociale.

Io ogni tanto racconto della mia esperienza solo perché penso possa essere utile. Quando mi diagnosticarono un linfoma non Hodgkin, poco prima degli anni 2000, andai dal professor Umberto Veronesi. Allora ero amministratore delegato della Pirelli Italiana, ero anche in una posizione di responsabilità. Entrai in un mondo che avevo conosciuto solo per sentito dire o per parenti anche molto vicini, ma quanto tocca a te cambia tutto. E’ inevitabile trovare una tua dimensione, che può essere diversa da tutte le altre.

Io vi dico qual è stata la mia risposta per sostenere quello che fate. La mia risposta è stata una fiducia totale nella medicina. Non ho perso mai molto tempo in rete a capire quale cura era la migliore, pensavo non fosse utile, mi sono fidato del professore Veronesi, dello IEO, dei medici a cui mi sono affidato. Però ho pensato che questo non doveva portarmi all’eccesso di non fare la mia parte e nel fare la mia parte mi dovevo mettere nella condizione di lottare contro il cancro. Quella era una parte della mia vita, la dovevo accettare e quindi dovevo cercare di far sì che fosse gestibile.

Dopo una settimana sono andato da uno psicologo che mi ha aiutato in quella fase e poi ho cercato di modificare il mio stile di vita, cosa mangiavo, lo sport che facevo, come pensavo, come gestivo le mie 24 ore, quasi comprese le ore del sonno. Ma l’ho fatto perché lo potevo fare, avevo strumenti culturali ed economici per farlo e quando sono guarito e dal linfoma non Hodgkin non è che non guarisci mai ma sei sempre in cura, come io sono in cura da 23 anni continuando a tenermi sotto controllo, di più, perché non vuoi tornare a rivivere quello che hai passato. Io ho fatto un trapianto di cellule staminali: non è una passeggiata ma una parte della mia vita e quando torni hai ancora più voglia di essere parte, protagonista della tua vita.

Credo che la malattia ti insegni una cosa fondamentale che da solo non ce la fai a imparare. Devi fidarti degli altri, ti devi fare aiutare, devi avere voglia di farti aiutare. Ed è per questo che quando io penso alla vita e alla società, trovo preoccupante l’idea di isolarci, di stare nelle nostre case, di vivere un mondo virtuale, di essere troppo poco attenti agli altri. La malattia ti umanizza da questo punto di vista, ti fa capire i tuoi limiti, ti fa capire che se non ti aiutano gli altri non ne vieni fuori.

Ho fatto questo discorso per dirvi ora come ragiono da sindaco. Noi come politici, come amministratori della città, possiamo fare una parte di tutto ciò. Ma è chiaro che in una città come Milano dove c’è chi si dà da fare, chi finanzia, chi ci mette la sua capacità scientifica, chi è malato e poi guarisce e si mette ad aiutare, ecco questa è l’unica possibilità, è l’unica via collaborativa. Noi andremo verso un periodo in cui si avrà sempre più bisogno, quindi ben vengano queste situazioni per evitare il pericolo di una società che crea differenze e apre la forbice tra chi sta bene e chi sta male. In questo momento noi dobbiamo pensare soprattutto a chi non può, dobbiamo trovare formule per tutelare chi non può, soprattutto dal punto di vista economico. È un fatto culturale della vita. Noi abbiamo gli strumenti, qui ci sono persone che, per professione o perché ci sono passati, sanno di cosa si parla. Non sono analisti o teorici, l’hanno vissuto.

La LILT ha sempre fatto un gran bene alla nostra città, ma io apprezzo molto questo nuova iniziativa, perché c’è vita dopo e la vita dopo deve essere piena. È per questo che io sono qua con voi, felice, convinto e vostro sostenitore per dirvi che quello di cui avete bisogno io ci sarò.

Giuseppe Sala
Sindaco di Milano

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