Chemio: i test genomici indicano quando evitarla

Chemio: i test genomici indicano quando evitarla

Se ne sta parlando molto in questi mesi per la sua validità. Il soggetto è un test molecolare a 21 geni che permette di evitare la chemioterapia dopo l’intervento, in caso di tumore del seno.
«Il test rappresenta un passo avanti e sotto molto aspetti», interviene Corrado Tinterri, Direttore della senologia dell’Istituto Humanitas di Rozzano, Milano. «Di sicuro, può evitare sofferenze sia psicologiche, sia fisiche alle donne che possono evitare la chemioterapia. Dall’altra, può rappresentare un alleggerimento dei costi a carico del sistema sanitario e, infine, un minore afflusso di pazienti in ospedale, il che in questo periodo di pandemia rappresenta un aspetto da non sottovalutare». Ma attenzione. Nel susseguirsi delle notizie, talvolta non è emerso l’aspetto più importante. «Il test non è per tutte le pazienti», continua il professor Tinterri. «E questo va chiarito, per non generare false speranze».

Quali donne possono candidarsi ai test genomici?

Facciamo un passo indietro. Secondo l’ultimo rapporto AIOM/AIRTUM in Italia ci sono state circa 55 mila nuove diagnosi di tumore al seno. Di queste, circa 6 donne su dieci hanno la forma ER+/HER2-. Significa in parole semplici che la proliferazione delle cellule tumorali è legata agli ormoni femminili e che non è presente il recettore (HER2 per l’appunto) che rende il tumore molto più aggressivo. In questi casi, se la diagnosi è precoce, la terapia prevede l’intervento chirurgico per l’asportazione del nodulo, l’analisi del linfonodo sentinella e, per ridurre il rischio di recidiva, la terapia ormonale associata o meno alla chemioterapia. «Il test genomico entra in gioco nei casi incerti sulla terapia più indicata e viene eseguito su un campione di tessuto tumorale prelevato durante l’operazione», chiarisce il professor Tinterri. «Il risultato che otteniamo dal test ci indica in quello specifico tumore se il rischio di recidiva a nove anni di distanza dalla diagnosi è basso e se i benefici aggiuntivi della chemioterapia sono minimi, o addirittura assenti».

La validità dei test genomici è scientificamente provata?

La validità del test molecolare a 21 geni è dimostrata da diverse ricerche. Ultimo, lo studio RxPONDER, pubblicato sulla rivista scientifica “The New England Journal of Medicine”, e dai dati aggiornati presentati a dicembre scorso al “San Antonio Breast Cancer Symposium”, dedicato a questa neoplasia. Lo studio è stato condotto in modo indipendente dal SWOG Cancer Research Network con il supporto del National Cancer Institute (NCI) e ha coinvolto 5.083 donne con tumore del seno in stadio iniziale, che esprime i recettori estrogenici ma non la proteina HER2 e con coinvolgimento dei linfonodi ascellari (da uno a tre). I risultati? Quasi il 92% delle donne in postmenopausa trattate, dopo la chirurgia, con la sola terapia ormonale, a 5 anni, è viva e libera da malattia invasiva, senza differenze significative rispetto alle pazienti che hanno ricevuto anche la chemioterapia dopo l’intervento. E i dati aggiornati presentati a San Antonio, dimostrano che a distanza di circa sei anni, le donne in postmenopausa continuano a non ottenere benefici dalla chemioterapia dopo la chirurgia.

Un diritto delle pazienti, un dovere per le regioni

Il test è nelle linee guida americane di ASCO, in quelle europee di ESMO e nelle nostre nazionali di AIOM. Insomma, tutti gli oncologi mondiali l’hanno ritenuto valido, tanto che oggi viene rimborsato nel Regno Unito e in molti Paesi dell’Unione Europea, mentre negli USA è l’unico rimborsabile dalle assicurazioni sanitarie. E in Italia? «La situazione è a macchia di leopardo», dice il professor Tinterri. «E chi paga le conseguenze della situazione attuale, alla fine, è la paziente e non è ammissibile, perché dovrebbe essere ugualmente disponibile in tutte le Regioni e con indicazioni d’uso omogenee». Non solo. Se una donna è in cura in un centro oncologico lombardo per esempio, dove il test è gratuito da settembre 2019, ed è candidata al test ma proviene da un’altra Regione, al momento deve farsi carico del costo dell’esame perché la sua Asl non lo rimborsa.  

Chemio? Se posso la evito

Per sbloccare la situazione, sono scese in campo anche le Associazioni. «A dicembre 2020, la Legge di Bilancio ha istituito un Fondo di 20 milioni di euro per l’applicazione gratuita dei test genomici su tutto il territorio» sottolinea Rosanna D’Antona, Presidente di Europa Donna Italia. «A luglio 2021, il Ministro della Salute ha firmato il decreto attuativo che ha sbloccato i 20 milioni di euro inclusi nel Fondo. Le Regioni hanno recepito il decreto del Governo, ma solo alcuni ospedali hanno iniziato a ordinare i test. Tra gare regionali da avviare ed ulteriori ritardi burocratici e amministrativi si corre il rischio concreto di dover aspettare altri mesi. Non è più accettabile prolungare ulteriormente l’attesa delle pazienti.

Le associazioni al servizio della salute

«Insieme alle 170 Associazioni che fanno parte della nostra rete, continuiamo l’azione di monitoraggio e sollecito affinché tutte le donne possano contare su scelte terapeutiche sempre più basate sulle evidenze della medicina personalizzata, di cui i test genomici rappresentano un tassello fondamentale». Questa dei test genomici è stata una ulteriore evidenza di quanto le associazioni e le migliaia di pazienti possano fare ed ottenere per la propria salute. «Tutto si è basato su tre step importanti», conclude la Presidente D’Antona. «In primo luogo, l’informazione corretta a tutte le associazioni e le pazienti su funzioni e potenzialità dei test. Quindi, l’attività di advocacy nei confronti dei decisori ai diversi livelli: per dare un’idea, in meno di due mesi abbiamo raccolto più di 15.000 firme attraverso un’intensa campagna social. Infine, ultimo ma non meno importante, il monitoraggio attivo regione per regione per rilevare e sollecitare i decisori sullo stato dell’arte per l’effettiva erogazione dei fondi alle BU del territorio e conseguente assegnazione dei fondi». 

Esistono altri test genomici oltre a quello a 21 geni?

Per quanto riguarda in particolare il tumore del seno, il test molecolare a 21 geni non è l’unico, ma fa parte di un pool di test genomici, che hanno in comune come obiettivo quello di ottenere un risparmio in termini di salute e di risorse economiche. Come MammaPrint che valuta i benefici della chemioterapia nel caso di entrambe le forme di tumore più diffuse, cioè ormono-dipendenti e non ormono-dipendenti e con non più di tre linfonodi intaccati dalla malattia. Oppure EndoPredict che prevede il rischio di recidiva nelle donne in pre e in premenopausa, che hanno alle spalle almeno cinque anni di terapia ormonale e una diagnosi da non più di 10 anni di tumore al seno ormono-dipendente e con al massimo tre linfonodi positivi. Questo test stima in più la possibilità di interrompere la terapia ormonale. E infine, il Breast Cancer Index, utile a distanza di 5-10 anni dalla diagnosi nel caso di carcinoma mammario ormono-dipendente, con linfonodi negativi. «Tutti analizzano l’espressione di vari geni e sono in grado di dare indicazioni sull’aggressività biologica del tumore», conclude il professor Tinterri. «Sono uno strumento in più nelle mani dell’oncologo, per formulare piani terapeutici sempre più ad hoc e personalizzati, allo scopo di migliorare l’indice terapeutico dei trattamenti anti-tumorali».


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