PSA: è il test di screening per il tumore alla prostata?

PSA: è il test di screening per il tumore alla prostata?

Facciamo chiarezza con lo specialista Nicola Nicolai su un esame ematico controverso come strumento di diagnosi precoce del tumore alla proposta. Non un vero marcatore tumorale ma una proteina enzimatica che può riservare un falso positivo.

PSA: sì, no, forse. Si potrebbe riassumere così l’altalena delle interpretazioni degli studi scientifici, ma anche dell’opinione di esperti che, di tanto in tanto, vengono pubblicati e ripresi dai media, e che creano confusione, oltre a destabilizzare.

Di certo, quello che è oggi è pacifico accettare, e sul quale concorda la Comunità scientifica internazionale, è che il PSA da solo e una sola volta non dovrebbe essere il test di screening per la diagnosi del tumore alla prostata. La ragione? Il PSA non è un vero marcatore tumorale, ma una proteina enzimatica (che serve a fluidificare il liquido seminale) normalmente presente nel sangue degli uomini, il cui valore può elevarsi per molte ragioni anche non oncologiche. Per esempio, si altera nel caso di una prostatite, cioè un’infiammazione alla ghiandola prostata, oppure di ipertrofia prostatica, patologia comunissima nei maschi con l’avanzare dell’età. Entrambi i disturbi, questi, di natura benigna.

PSA e falsi positivi

Se il PSA viene eseguito su larga scala e indiscriminatamente, come avviene per intenderci per la mammografia o per il pap test nel caso delle donne, potrebbe non dare i medesimi vantaggi nella diagnosi precoce. Infatti, anche se dimostrato che l’anticipazione diagnostica grazie al PSA può migliorare la sopravvivenza di alcuni soggetti, per moltissimi porterebbe alla scoperta di tumori indolenti, che possono rimanere asintomatici per tutta la vita, ma la cui individuazione diventa fonte di stress, di un percorso di cura o osservazione invasivo ed è stata causa, e purtroppo ancora lo è, di interventi chirurgici non utili ma con conseguenze negative importanti.

Le regole per la salute della prostata

Qual è allora la modalità più indicata per tenere sotto controllo la salute della prostata? La racconta Nicola Nicolai, Direttore Struttura Complessa Urologia e responsabile della Struttura Semplice dei tumori del pene e del testicolo, Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
Il tema del rischio di avere o sviluppare un tumore della prostata deve essere affrontato individualmente. Per prima cosa deve essere spiegato bene a cosa si può andare incontro facendo un primo prelievo del PSA. Nei soggetti con familiarità importante (parente di I grado come padre o fratello) o in quelli con un’alterazione genetico-familiare riconosciuta a rischio, il test può essere raccomandato già dai 40 anni. Per gli altri si possono aspettare i 45/50 anni. Il test è una semplice analisi del sangue che verifica il valore della proteina nel sangue.
Tuttavia, come si è detto, il solo valore di una singola volta in genere non basta. Diventano molto utili determinazioni nel tempo del valore, per comprendere se c’è una crescita che potrebbe essere indicativa della presenza di un tumore. Naturalmente tutto questo richiede la visita dall’urologo, che valuta la persona per le sue caratteristiche generali, i fattori di rischio, gli stili di vita e può interpretare i valori del PSA, singolo e specie nel tempo, utilizzare altri informatori associati al PSA (i cosiddetti PSA derivati, come il PSA libero e specie la cinetica del PSA) e può valutare la persona con l’esplorazione rettale. Questo esame è indolore, e nonostante la pubblicità negativa e la cattiva fama di rappresentare un approccio un po’ antiquato, è ancora utile a fornire informazioni cliniche sulle caratteristiche della prostata (come del resto in altri screening, dove si usa ancora l’esame obiettivo).

Gli esami per approfondire

I passaggi successivi, che devono essere valutati in maniera ponderata con l’urologo di fiducia, oggi hanno il beneficio di strumenti nuovi ed efficaci, come la risonanza magnetica multiparametrica, esame che consente di “vedere dentro” la prostata e identificare aree sospette.
Arrivare alla biopsia è l’ultimo passaggio, anch’esso guidato da una valutazione clinica adeguata, personalizzata, che tiene conto delle caratteristiche del paziente, dei valori del PSA e dei suoi derivati e, quando indicata, dei risultati della risonanza magnetica multiparametrica, che tra l’altro, migliora la performance dalla biopsia che può essere mirata sulle aree sospette eventualmente identificate, come riportato nelle raccomandazioni europee per la prevenzione oncologica secondaria, pubblicate nel 2022.


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